In una recente sentenza, divenuta definitiva nel gennaio 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha esaminato il caso instaurato dalla società Tasoncom S.r.l. contro la Repubblica di Moldova, relativo a due procedimenti paralleli, uno fiscale e l’altro penale, riguardanti gli stessi fatti. La società era stata condannata nel procedimento fiscale, ma successivamente assolta nel procedimento penale e aveva chiesto senza successo all’autorità giudiziaria moldava il riesame della decisione emessa nel procedimento fiscale. Il ricorso, che sollevava questioni relative a motivi di rigetto dell’istanza di riesame e al rispetto del principio della certezza del diritto, sollevava censure ai sensi dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione EDU e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Prima di analizzare gli importanti principi affermati dalla Corte nell’accogliere – lo si anticipa – il ricorso della Società, è importante riassumere brevemente l’iter e l’esito dei due giudizi che hanno visto coinvolta la ricorrente. La Società ricorrente era stata oggetto di una verifica fiscale relativa agli anni 2007 e 2008, dalla quale era emersa una presunta violazione della normativa fiscale moldava, consistente nell’aver incluso tra le spese deducibili gli importi corrispondenti all’acquisto di beni da società che non erano più soggette all’IVA al momento delle operazioni in questione. All’esito dell’articolato giudizio tributario, nel 2012 la Corte d’appello ha confermato le sanzioni irrogate dall’Ispettorato fiscale, basando sostanzialmente la sua decisione sul fatto che, nel frattempo, la Società era stata condannata in primo grado in sede penale per gli stessi fatti, qualificati come evasione fiscale. 2. Il procedimento penale Come anticipato, le stesse condotte di utilizzo di fatture emesse da fornitori non più iscritti al registro dei soggetti passivi IVA, avendo permesso un’indebita riduzione dei profitti imponibili e dell’importo IVA di cui la Società era debitrice, sono state qualificate come evasione fiscale, così comportando la contemporanea apertura di un procedimento penale. Tuttavia, a seguito della sentenza di condanna emessa nel primo grado (quella tenuta in considerazione dalla Corte tributaria per confermare il provvedimento fiscale), l’esito del giudizio penale è stato sovvertito dalle due successive pronunce che hanno, in definitiva, assolto la Società ricorrente e il suo direttore per mancanza di prove. In particolare, la sentenza poi divenuta irrevocabile nel 2013 ha rilevato che la ricorrente aveva effettivamente pagato l’IVA ai fornitori e che non aveva avuto concretamente modo di apprendere che questi ultimi non erano più soggetti passivi dell’IVA. 3. Il ricorso alla CEDU Alla luce dell’iter giudiziario sopra descritto, la Tasoncom ha presentato dinnanzi alla Corte d’appello tributaria un’istanza di revisione della decisione definitiva emessa nel 2012. Il ricorso è stato respinto dalla Corte moldava, in quanto ritenuto inammissibile perché non rientrante in nessuna delle ipotesi di revisione previste dall’art. 449 del Codice di procedura civile. Per questa ragione, la Società nel 2015 si è dunque rivolta alla Corte di Strasburgo, sostenendo che il rigetto della sua domanda di riesame senza tenere conto dell’annullamento della condanna penale e della successiva sentenza di assoluzione, violava il principio di certezza del diritto. In particolare, la ricorrente ha sostenuto che la decisione di imporre sanzioni fiscali nei suoi confronti si era basata esclusivamente sulla condanna penale che, in conseguenza della successiva assoluzione, la prima decisione doveva ritenersi infondata. A tal riguardo, la Società ha invocato l’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione, che sancisce il diritto di ciascuno ad avere diritto ad un’equa udienza da parte di un tribunale che decida sul merito di qualsiasi accusa penale nei suoi confronti. La Corte EDU, valutata innanzitutto positivamente l’ammissibilità del ricorso per applicabilità dell’art. 6 anche al procedimento di revisione avverso una pronuncia di natura tributaria, ha proceduto col valutare la fondatezza dei motivi di ricorso e, dunque, l’effettiva violazione del principio di certezza del diritto. Osservando la differenza di posizioni espresse dalla Società e dal Governo moldavo in merito all’indipendenza dei due procedimenti penale e tributario, la Corte ha ritenuto non dimostrato che gli stessi fossero integrati tra loro in un sistema coerente, tale da determinare un legame materiale sufficientemente stretto da qualificarli come un unico complesso procedimento. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto configurata una reiterazione del procedimento penale contro la Società ricorrente per gli stessi fatti, essendosi trovata in una situazione in cui era stata assolta in via definitiva nel procedimento penale, ma condannata in quello fiscale, che si è concluso come penale ai sensi dell’art. 6 della Convenzione. Secondo la Corte, la situazione sopra descritta è incompatibile con il principio della certezza dei rapporti giuridici insito nell’art. 6 della Convenzione. In particolare, la Corte ha ritenuto che “il rigetto dell’istanza di riesame della ricorrente e la conferma della condanna pronunciata nel procedimento tributario privino l’assoluzione definitiva di cui la società ha beneficiato nel procedimento penale di almeno alcuni dei suoi effetti utili e siano quindi in contrasto con esso”. In ragione di ciò, la Corte ha riconosciuto la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione, non essendo stato raggiunto il risultato richiesto dalla norma nel procedimento fiscale contro la Società ricorrente. Alla luce di tale decisione, ed avendo altresì riconosciuto la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione (il cui merito non si intende approfondire nel presente contributo), la Corte ha condannato la Moldavia al risarcimento dei danni morali e delle spese sostenute dalla Società ricorrente, oltre a invitare le parti a raggiungere un accordo per l’integrale risarcimento degli ulteriori danni non ancora liquidati.