Con sentenza del 4.04.2025, n. 18068, la V sezione penale della Corte di Cassazione ha trattato il tema del ruolo dell’amministratore di diritto nei casi di bancarotta fraudolenta per distrazione. La sentenza riguarda i ricorsi presentati da 2 soggetti (identificati dai giudici di merito come l’amministratore di fatto e l’amministratore di diritto di una società) che hanno presentato ricorso in Cassazione avverso una decisione della Corte di Appello di Napoli, che aveva confermato la condanna di entrambi per il reato di bancarotta fraudolenta. Tra i motivi del ricorso, l’amministratore di diritto della società fallita ha sostenuto la sua totale inconsapevolezza circa la condotta illecita posta in essere dall’amministratore di fatto. Il ricorso è stato rigettato, confermando che la Corte di Appello aveva adeguatamente motivato la consapevolezza dello stesso riguardo i fatti di spossessamento dei beni societari posti in essere dall’amministratore di fatto. Tra gli indici rivelatori della consapevolezza – in capo all’Amministratore di diritto – della condotta illecita i giudici di legittimità segnalano: Con tale decisione la Corte di Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui: “Questa Corte ha chiarito che in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. (Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, C., Rv. 274166)”. Ciononostante, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata ha, con motivazione immune da vizi, chiarito le ragioni per le quali l’imputato, pur in presenza di un amministratore di fatto, nella sua qualità formale di amministratore di diritto, avesse consapevolezza della condotta contestata.