Si segnala l’interessante pronuncia della Corte di cassazione in materia di revisione di una sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/01, per contrasto con la sentenza di assoluzione emessa nei confronti della persona fisica, legale rappresentante dell’ente imputato. Nella sentenza n. 17467, depositata lo scorso 8 maggio, la Corte Suprema di Cassazione ha esaminato il ricorso presentato dalla IMAL S.r.l. contro la decisione della Corte d’Appello di Ancona, che aveva rigettato la richiesta di revisione presentata ai sensi dell’art. 630 co. 1 lett. a) c.p.p. La IMAL S.r.l. era stata condannata con sentenza di applicazione della pena ex art 444 c.p.p. per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies co. 3 D.lgs. 231/01, in relazione al delitto di cui all’art. 590 co. 3 c.p., a seguito di un infortunio sul lavoro occorso a un dipendente della Ecoblock. Parallelamente, il procedimento era proseguito nei confronti degli altri imputati, fra i quali l’amministratore della IMAL, la società Ecoblock e i datori di lavoro di quest’ultima. Il giudizio nei confronti dell’amministratore della IMAL si era concluso con una sentenza di assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto”. Il Tribunale di Modena era addivenuto alla decisione favorevole nei confronti del legale rappresentate della IMAL dopo aver escluso la sua penale responsabilità, in quanto il ruolo dell’azienda da lui amministrata era stato limitato alla produzione della semi-macchina dalla quale era scaturito l’infortunio, macchina che, però, prima della sua messa in funzionamento, era stata assemblata e certificata CE dalla Ecoblock. L’istruttoria aveva pertanto consentito di escludere che la violazione della regola cautelare addebitata al legale rappresentante della Società ricorrente fosse causalmente ricollegabile all’infortunio. Secondo il ricorrente, dunque, la sentenza assolutoria del Tribunale di Modena, ritenendo irrilevante causalmente la violazione delle norme a tutela dei lavoratori contestate al legale rappresentante della IMAL, ha escluso la responsabilità di qualsiasi persona fisica riferibile alla Società e, di riflesso, anche la riconducibilità dell’illecito amministrativo correlato all’ente. Non solo: essendo stato contestato all’ente l’illecito amministrativo ex art. 5, comma 1 lett. a), il proscioglimento dell’apicale dovrebbe comportare conseguentemente il proscioglimento dell’ente. La Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la doglianza della Società. Merita innanzitutto sottolineare che, in prima battuta, la Corte ha riconosciuto l’ammissibilità della richiesta di revisione della sentenza di patteggiamento, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale (espresso nella sentenza n. 2635/2010 citata) che non trova unanime applicazione in seno ai giudici di legittimità, posto che in altri casi è stata esclusa l’operatività dell’art. 630 co. 1 lett. a) c.p.p. avente ad oggetto una sentenza ex art. 444 c.p.p. (si veda ad esempio Cass. n. 4417/2017). In particolare, la Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello non aveva correttamente applicato al caso di specie i principi interpretativi affermati dalla giurisprudenza in materia di revisione nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti. Nel caso specifico, la Corte d’appello avrebbe errato – secondo i giudici di legittimità – nell’applicare il principio secondo il quale nel peculiare caso del rapporto tra responsabilità dell’ente e illecito commesso dal soggetto apicale “non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p. tra la sentenza dichiarativa della responsabilità dell’ente e la sentenza di assoluzione dell’imputato dal reato presupposto pronunciata in un diverso procedimento, nel caso in cui, in quest’ultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo l’inconciliabilità dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilità dell’ente ex art. 8 del D.Lgs. 231/01 sussiste pur se l’autore del reato non risulti identificato” (Sez. 4, n. 10143 del 10/02/2023). Tale pronuncia, infatti, atteneva ad un diverso caso in cui l’accadimento dell’infortunio sul lavoro era stato accertato nella pronuncia assolutoria, rimanendo non individuate le figure dei responsabili dell’accaduto. La diversa statuizione in termini di efficienza causale della condotta contestata al soggetto apicale della IMAL non ha comportato la persistente ascrivibilità dell’infortunio al produttore IMAL, come invece accaduto nel caso trattato dalla Corte nel precedente appena richiamato. La Cassazione ha altresì ricordato che secondo le Sezioni Unite, sentenza n. 11170 del 25/09/2014, “in tema di responsabilità degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica“, per cui l’esclusione della responsabilità del soggetto apicale della società produttrice di un macchinario, per essere l’infortunio ascrivibile esclusivamente al datore di lavoro, va intesa quale esclusione del reato presupposto. La giurisprudenza formatasi in tema di divieto di bis in idem, infatti, spiega come il fatto storico debba essere considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Ciò che conta, per la verifica dell’identità del fatto storico, è dunque il confronto delle condotte specificamente poste in essere dai medesimi soggetti per verificarne la sovrapponibilità, onde, l’identità del fatto storico nel quale si sostanzia il reato presupposto permane, pur a seguito dell’assoluzione di uno dei coimputati, qualora rimanga ferma la responsabilità degli altri o di persona non identificata le cui condotte siano comunque riferibili al medesimo ente; mutando l’ente di riferimento del soggetto apicale imputato muta, invece, anche il fatto storico. Alla luce delle considerazioni sopra sintetizzate, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Perugia per un nuovo giudizio, stabilendo il principio di diritto secondo cui “sussiste diversità del fatto storico tra un infortunio in materia di lavoro correlato all’uso di un macchinario ascritto all’impresa datrice di lavoro e il medesimo infortunio ascritto alla condotta del produttore del macchinario”.