Il doppio binario penal-tributario e l’adeguamento al principio del ne bis in idem: le novità previste dalla riforma fiscale

30 Aprile 2024

Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Giustizia Tributaria nell’ambito della nuova rubrica mensile “Focus Penale Tributario”.

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Tra i principi cardine fissati dal legislatore nella legge delega per la riforma fiscale (L. n. 111/2023) in relazione alla revisione del sistema sanzionatorio penal-tributario spicca l’obiettivo di “razionalizzare il sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem”.

Allo stato attuale, il sistema sanzionatorio penal-tributario regolato dal D.lgs. 74/2000 si fonda su un presupposto di completa autonomia e separazione tra i due procedimenti, penale e amministrativo, che – come due treni che percorrono binari paralleli –sono destinati a non incontrarsi, pur vertendo su fatti comuni. Tale circostanza, che si concretizza nel divieto di sospensione di uno dei due procedimenti in pendenza dell’altro (art. 20 D.lgs. 74/2000), ha implicato (almeno sino ad oggi) la possibilità che i provvedimenti conclusivi dei due procedimenti siano tra loro contraddittori, stabilendo, da un lato, la responsabilità penale per il reato tributario e, dall’altro lato, l’annullamento della pretesa erariale, o viceversa.

A livello comunitario, il sistema del doppio binario penal-tributario, secondo la costante interpretazione della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia UE, è ammesso purché i due procedimenti paralleli risultino connotati da un nesso sostanziale e cronologico sufficientemente stretto. È, in ogni caso, altresì necessaria la presenza di meccanismi giuridici in grado di assicurare risposte sanzionatorie proporzionate e di consentire, da una parte, una verifica degli scopi delle diverse sanzioni e dei profili della condotta considerati, dall’altra, la prevedibilità della duplicità delle sanzioni e dei procedimenti, nonché dei correttivi da adottare al fine di assicurare la proporzionalità della pena.

In tal senso è noto che, ai fini della valutazione circa l’eventuale natura penale delle sanzioni tributarie, assume rilievo l’applicazione (alternativa, non cumulativa) dei c.d. criteri di Engel, volti a riqualificare una sanzione formalmente amministrativa in base al diritto interno onde attribuirle natura sostanzialmente penale, al fine di determinare l’applicazione delle garanzie convenzionali previste per la materia penale: tra queste, il divieto di bis in idem ex consacrato nell’art. 4 prot. 7 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo sotto la rubrica “Diritto di non essere giudicato o punito due volte”. Più in dettaglio, i criteri di Engel (così detti dalla sentenza 8 giugno 1976 resa dalla CGUE, Grande Sezione, nel caso Engel et al. c/ Paesi Bassi) sono:

  • la formale qualificazione giuridica dell’illecito, come svolta dal diritto domestico;
  • la natura oggettiva dell’illecito;
  • la natura e il grado di severità della sanzione prevista, come delineati dal formato giurisprudenziale unionale.

Nell’elaborazione giurisprudenziale, i predetti criteri sono dunque determinanti al fine di individuare le misure dotate di natura sostanzialmente penale, attese la loro finalità prevalentemente punitiva e l’elevato grado di afflittività, e le garanzie che ne derivano, evitando la duplicazione della sanzione per i medesimi fatti. Si tratta, in definitiva, dei medesimi criteri interpretativi affermati dalla costante giurisprudenza CEDU (cfr. sentt. 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia; 27 novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia; 10 febbraio 2015, Kiiveri c. Finlandia) e CGUE (ex multis v. Grande Sezione, sent. 26 febbraio 2013, Åklagaren / Hans Åkerberg Fransson, C- 617/108, che si è altresì espressa in ordine al campo di applicabilità dell’art. 50 CDFUE quale ulteriore referente normativo in tema di ne bis in idem internazionale in base al quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”).

La giurisprudenza in materia pone il tema del rispetto del principio del ne bis in idem teso a impedire la duplicazione di procedimenti e condanne in relazione ai medesimi fatti, consacrato nel richiamato art. 4, prot. 7,CEDU ed ancorato, a livello interno, al principio del giusto processo (art. 111 Cost.), al diritto di difesa (art. 24 Cost.), alla finalità rieducativa della pena (art. 27, co. 3, Cost.) ed alla ragionevole durata del processo (art. 117, co. 1, Cost. Cfr. art. 6 CEDU). Tema invero controverso e di perenne attualità, al punto da spingere il legislatore nazionale a intervenire direttamente allo scopo di dirimere la problematica in via definitiva.

Da tempo si assiste a una progressiva europeizzazione del diritto penale e delle prospettive sanzionatorie[1]: processo animato, oltreché da logiche di armonizzazione degli ordinamenti nazionali (quantomeno sul piano principiale), dalla tensione al superamento del fenomeno dell’”oscurità della legge”, visto sia in termini di iperproliferazione delle norme che di inerzia legislativa quanto al riordino dell’assetto ordinamentale.

A tale processo concorrono entrambi i sistemi giurisprudenziali di matrice CEDU e CGUE, usi a dialogare sulla scorta della nozione autonoma di matière pénale, che si propone il fine di far saltare le contraddizioni insite, tra gli altri, nel paradigma del doppio binario.

È interessante evidenziare come, negli arresti richiamati, la questione si ponga non solo sul piano della condanna “in sé”, quale esito sfavorevole dell’iter processuale, bensì anche (e prima) sul piano inter-procedimentale. Il diritto vivente europeo, infatti, tende a leggere il principio in esame anche nel senso del divieto non tanto di incardinare, quanto di proseguire uno dei due procedimenti nel momento in cui intervenga pronuncia di condanna in quello parallelo (sul punto Grande Stevens c. Italia, cit.).

In questa cornice tendenziale di lungo corso si innesta, oggi, l’articolo 20 della legge delega per la riforma fiscale (L. n. 111/2023), che, come anticipato, prevede la razionalizzazione del sistema sanzionatorio tributario anche ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem, ricorrente ove i fatti contestati siano connotati da identità di elementi strutturali (vale a dire condotta, evento, nesso causale, circostanze di tempo e di luogo).

Efficacia delle sentenze penali di assoluzione del processo tributario e di Cassazione (il nuovo art. 21-bis D.lgs. 74/2000)

A tal fine assume speciale rilievo il nuovo articolo 21-bis D. Lgs. 74/2000 previsto dallo schema del c.d. Decreto Sanzioni, che riconosce, in ogni stato e grado del processo tributario, efficacia di giudicato alla sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata, con le formule “perché il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”,“in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario”.

In tal modo, il giudicato di assoluzione penale, quando pronunciato con le formule più ampie, diventa vincolante per il Giudice tributario.

È importante ricordare che, secondo la giurisprudenza espressasi sul punto in base alla legislazione attualmente in vigore, la sentenza di assoluzione penale non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel giudizio tributario. Con la conseguenza che l’imputato assolto in sede penale potrebbe essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risultasse fondato su indizi validi nel giudizio tributario, seppur eventualmente insufficienti per fondare una responsabilità penale[2].

A ciò si aggiunga che il comma 2 del nuovo art. 21-bis D.lgs. 74/2000 prevede la possibilità di depositare, con memoria illustrativa, anche nel giudizio di Cassazione la sentenza penale irrevocabile di assoluzione. “La Corte di Cassazione – prosegue la norma – assegna al pubblico ministero un termine non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito di osservazioni. Trascorso tale termine, se non accoglie le osservazioni, decide la causa conformandosi alla sentenza penale qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”.

Il terzo comma dell’art. 21-bis, infine, prevede che la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste ha efficacia vincolante per il Giudice tributario anche nei confronti di:

  • persona fisica nel cui interesse ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale;
  • l’ente o la società, con o senza personalità giuridica, nel cui interesse ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto;
  • i singoli soci o associati delle medesime società.

La portata innovativa della norma, ove dovesse essere approvata senza ulteriori modifiche, impone di verificare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi della legge delega.

Non può non rilevarsi, innanzitutto, come le sentenze penali assolutorie emesse con formule diverse dalle due formule “piene” sopra richiamate continueranno a non esplicare, anche dopo l’entrata in vigore della riforma, efficacia di giudicato nel processo tributario. Ciò, in quanto tali formule assolutorie sono da ritenersi inidonee ad escludere ex se i fatti fiscalmente rilevanti.

In secondo luogo, è importante evidenziare che la sentenza assolutoria pronunciata a seguito di giudizio abbreviato non avrebbe – stando al tenore letterale del nuovo art. 21-bis – la medesima efficacia vincolante dell’analoga sentenza emessa all’esito del giudizio ordinario. La differenza sostanziale, in questo caso, risiede nel fatto che la sentenza emessa all’esito del rito abbreviato si fonda sulla valutazione delle sole prove raccolte nel corso delle indagini e non invece sulla prova formata oralmente in dibattimento.

Tale soluzione, tuttavia, non convince, in quanto determina un’ingiusta disparità di trattamento legata alla scelta del tutto legittima concessa all’imputato di procedere con l’uno o l’altro rito.

Il superamento di tale disparità potrebbe ottenersi attraverso una riformulazione della norma che, prendendo spunto dall’art. 652, comma 2, c.p.p. in tema di efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno, valorizza anche la sentenza assolutoria resa nel giudizio abbreviato.

È importante notare, infine, che il vincolo per il Giudice tributario sussiste anche se l’Erario non si è costituito parte civile nel processo penale, poi conclusosi con sentenza assolutoria.

Acquisizione nel processo penale delle sentenze e degli atti definitivi tributari (il nuovo comma 1-bis dell’art. 20 D.lgs. 74/2000)

In attuazione dell’art. 20, co. 1, lett. b), n. 2 della legge delega per la riforma fiscale, il quale impone al Governo di attribuire un rilievo alle definizioni raggiunte in sede amministrativa e giudiziaria ai fini della determinazione della rilevanza penale del fatto, lo schema del Decreto Sanzioni prevede l’introduzione del nuovo comma 1-bis dell’art. 20 del D. Lgs. 74/2000.

Tale comma, rubricato “Rapporti tra procedimento penale e processo tributario”, prevede la possibilità per il giudice penale di acquisire, ai fini della prova, le sentenze irrevocabili rese nel processo penale e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, laddove la contestazione penale inerisca al medesimo soggetto e ai medesimi fatti accertati in sede tributaria.

È importante notare che la disposizione di nuova introduzione è volta (i) ad evitare l’adozione di provvedimenti discordanti tra la sede penale e la sede tributaria in relazione ai medesimi fatti e ai medesimi soggetti e (ii) a riconoscere una rilevanza in sede penale ai comportamenti del contribuente volti a estinguere il proprio debito nei confronti dell’Erario.

Già l’attuale impianto codicistico, ovvero l’art. 238-bis c.p.p., disciplina l’utilizzabilità della decisione definitiva del giudice tributario nell’ambito del processo penale, richiedendo che la stessa venga valutata ai sensi degli artt. 187 e 192 co. 3 c.p.p.[3].

Tuttavia, la disposizione di nuova introduzione sembra essere destinata ad avere particolare rilevanza in punto di determinazione dell’imposta evasa, con particolare riferimento agli illeciti previsti dal D. Lgs. 74/2000 in relazione ai quali il quantum dell’imposta evasa segna il discrimine tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo. Proprio per questo appare problematica l’attuale formulazione della norma, laddove stabilisce che sono acquisibili a fini probatori, oltre alle sentenze tributarie irrevocabili, gli atti di accertamento definitivi “anche a seguito di adesione”. Da una parte, la volontà del legislatore delegato di riconoscere valenza probatoria agli accertamenti definitivi rende pleonastiche, ad avviso di chi scrive, specificazioni come quella recata dall'inciso ora richiamato. È infatti irrilevante, ai fini che il legislatore si propone, che l'accertamento sia divenuto definitivo "anche a seguito di adesione", senza contare che tale puntualizzazione si presta a letture potenzialmente escludenti altri istituti, pur dotati di analoga efficacia in termini di cristallizzazione del provvedimento.

Se è vero, infatti, che la norma fa riferimento agli atti resi definitivi “in sede amministrativa” e contempla espressamente l’avverbio “anche”, è altrettanto vero che l’inciso appare superfluo, ben potendo una formulazione più generale ricomprendere altresì gli atti resi definitivi a seguito di accertamento con adesione, così evitando che la disposizione di nuova introduzione presti il fianco a interpretazioni (specie in sede giurisprudenziale) volte a limitare l’efficacia probatoria dei provvedimenti in questione in ambito penale anziché ad ampliarla il più possibile, nell’ottica di un dialogo più fecondo tra i procedimenti paralleli.

Il caso forse più evidente è quello della conciliazione giudiziale, istituto i cui esiti “definitori” si concretizzano in un verbale orientato ai medesimi scopi che si prefigge l’atto di adesione. Ciò rileva anche in considerazione del momento in cui viene a innestarsi la conciliazione, vale a dire in pieno processo tributario e non, come nel caso dell’adesione, in una fase antecedente, extragiudiziale. Sarebbe auspicabile una formulazione onnicomprensiva, che al netto di specificazioni forse non necessarie tenga conto di tutti gli “atti di definitivo accertamento delle imposte”, a prescindere dalla sede (amministrativa o processuale) di formazione degli stessi.

Come nel caso del nuovo comma 2 dell’art. 12-bis D. Lgs. 74/2000 in materia di sequestro, con cui il legislatore delegato sembra invero restringere il campo ai soli piani di rateizzazione adottati a seguito dell’accesso a specifiche procedure deflative del contenzioso[4], il Decreto Sanzioni si presta, pertanto, ad ambiguità interpretative che rischiano di vanificare in parte gli assunti programmatici della legge delega.

Il doppio binario con riguardo ai profili prettamente sanzionatori

Se le modifiche previste dallo Schema del Decreto Sanzioni in materia di riconoscimento reciproco delle sentenze penali e dei provvedimenti emessi in sede tributaria ripercorrono in parte l’attuale impostazione codicistica, maggiore carattere innovativo avranno (in caso di approvazione senza ulteriori modifiche del testo attualmente in bozza) le modifiche previste in materia di coordinamento delle sanzioni.

La legge delega per la riforma fiscale prevede l’assegnazione al Governo di un ulteriore ambito di intervento, ovvero quello della razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem, al fine di assicurare l’effettiva applicazione delle sanzioni, anche attraverso la revisione della disciplina del ravvedimento, mediante una graduazione della riduzione delle sanzioni coerente con il principio appena menzionato.

Considerata la portata fortemente innovativa di tali disposizioni, le stesse verranno analizzate compiutamente all’interno del contributo della rubrica Focus Penale Tributario in uscita il prossimo mese.


[1] In dottrina v. A. Massaro, Europeizzazione del diritto penale e razionalizzazione del sistema sanzionatorio: il superamento dei “doppi binari” nazionali nel segno sostanzialistico-funzionale della “materia penale”, in Diritto Penale Contemporaneo, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/4064-europeizzazione-del-diritto-penale-e-razionalizzazione-del-sistema-sanzionatorio-il-superamento-dei .

[2] Cfr. Cass. Civ. Sez. VI, ord. N. 16262 del 28 giugno 2017.

[3] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 21 ottobre 2008, n. 39358; Cass. Pen., Sez. III, 8 aprile 2012, n. 14855.

[4] Si v. Sequestro finalizzato alla confisca per i reati tributari: la riforma fiscale valorizza la rateizzazione, Focus Penale-Tributario del 28 marzo 2024 in Osservatorio Giustizia Tributaria, https://www.osservatorio-giustiziatributaria.it/2024/03/28/sequestro-finalizzato-alla-confisca-per-i-reati-tributari-la-riforma-fiscale-valorizza-la-rateizzazione/ .

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