Sicurezza sul lavoro. Condotta imprudente del lavoratore e responsabilità del datore di lavoro e del dirigente con funzioni di delega ex D.Lgs. 81/2008, art. 16.

28 Marzo 2021

Con sentenza del 27.01.2021, n. 6505, depositata in data 19.02.2021, la Corte di Cassazione penale, sez. IV, si è espressa in materia di infortuni sul lavoro dinnanzi ad una condotta imprudente del lavoratore riconoscendo, tuttavia, anche la responsabilità del datore di lavoro e del dirigente con funzioni di delega ex D.Lgs. 81/2008, art. 16.

Nel dettaglio, in data 26.03.2019 la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Livorno del 20.10.2016, riconosceva la sussistenza della circostanza attenuante dell'art. 62 n. 6 c.p., rideterminava la pena e confermava la responsabilità penale del responsabile della centrale termoelettrica e quindi dirigente con funzioni di delega ex D.Lgs. 81/2008, art. 16 e del datore di lavoro, per colpa generica e specifica.
In particolare, veniva contestata agli imputati la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per avere causato al dipendete, responsabile del servizio prevenzione e protezione della centrale termoelettrica lesioni personali gravissime.
Secondo la ricostruzione fornita, il lavoratore durante una verifica dell'impianto antincendio asservito al locale della centrale, nel tentativo di scollegare manualmente una bombola contenente gas naf S III, non più conforme alle vigenti norme, veniva investito da una scarica violenta ed improvvisa del suddetto gas e poi dalla bombola stessa che, dopo aver divelto gli ancoraggi a parete, lo colpiva nel viso.
Al responsabile della centrale termoelettrica veniva contestata la violazione del D.Lgs. n. 81/2008, art. 46, comma 2 per non aver adottato le misure idonee a prevenire gli incendi e a tutelare l'incolumità dei lavoratori non avendo provveduto a gestire la manutenzione dell'impianto antincendio, non adeguato a causa della natura dell'estinguente contenuto nella bombola che avrebbe dovuto essere sostituito dal 2007 a seguito dell'entrata in vigore del D.M. 20 dicembre 2005.
Al datore di lavoro si contestava la violazione del D.Lgs. n. 81/2008, art. 16, comma 3 per non aver vigilato in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni delegate stante il mancato adeguamento e l'omessa manutenzione protrattasi per anni dell'impianto antincendio.
A quest’ultimo veniva contestata inoltre la violazione del D.Lgs. citato, art. 63, comma 1 perché non forniva ai dipendenti luoghi di lavoro conformi ai requisiti di sicurezza di cui all'allegato IV in particolare essendo previsto l'obbligo di predisporre impianti di estinzione incendi idonei in rapporto alle condizioni in cui possono esser usati e mantenuti in efficienza con controllo almeno semestrale da parte di personale esperto.
Da ultimo si contestava l’inoltro di una mail al dipendente in cui il datore di lavoro chiedeva una verifica degli impianti antincendio della centrale essendo in corso presso altra centrale termoelettrica un controllo da parte dei carabinieri del Noe circa il corretto smaltimento del gas naf S III, cosicché il lavoratore si recava nel locale con l'intenzione di scollegare manualmente la bombola contenente il suddetto gas non più a norma e veniva colpito dalla scarica immediata e violentissima di tutto il gas contenuto nella bombola.

L'infortunio secondo la ricostruzione del Tribunale e della Corte di appello si era verificato secondo la dinamica di seguito descritta.
- Il lavoratore infortunato era responsabile del servizio di prevenzione e protezione della centrale, si occupava della gestione documentale e della valutazione del rischio oltre che della formazione del personale ma, da diversi anni, poiché era rimasto senza collaboratori, aveva dovuto occuparsi anche di una serie di attività materiali tra cui la ricarica degli estintori.
- Era noto ai vertici dell'azienda e in particolare agli imputati che dal 2006 vi era l'obbligo di rimozione delle bombole contenenti gas alogenati lesivi dello strato dell'ozono.
- Le risorse per la sostituzione del gas non erano state mai stanziate e la ditta incaricata si era rifiutata di proseguire la manutenzione di un impianto non a norma, conseguentemente l'impianto non era stato più da anni soggetto alla manutenzione periodica.
- L'ingegnere funzionario tecnico dei Vigili del Fuoco che aveva effettuato il sopralluogo a seguito dell'infortunio aveva accertato che la manovra posta in essere dal lavoratore infortunato era impropria ma che era stata posta in essere dopo l'email di allerta del datore di lavoro nel tentativo di evitare controlli, in quanto la bombola conteneva gas vietato dalla legge.
- La Corte territoriale e il Giudice di primo grado ritenevano sussistente il profilo di colpa specifica in capo ai titolari della posizione di garanzia e il nesso causale con l'evento-infortunio in quanto, affermavano, che se fossero stati adottati idonei dispositivi atti ad garantire la manutenzione del sistema antincendio e la sostituzione del gas vietato all'interno della bombola dell'impianto mediante una scelta diligente precisa e consapevole dei vertici dell'azienda l'infortunio non si sarebbe realizzato in quanto il lavoratore non si sarebbe trovato nella condizione, peraltro sollecitata, di rimediare ad una situazione in violazione delle norme del settore che si protraeva da anni dinanzi all'annunciata ispezione dei Carabinieri del Noe e all'invito del datore di lavoro a far trovare "tutto ok".

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati articolando, tra gli altri, due motivi in cui gli stessi non ritenevano provata la sussistenza di un collegamento eziologico tra l'omessa manutenzione dell'estintore e l'incidente occorso al lavoratore.
Si evidenziava in particolare che “la scellerata e autonoma scelta del dipendente di porre in essere una manovra sull'estintore assolutamente impropria e pericolosa non contemplata da nessuna norma é del tutto esorbitante dalle sue mansioni e dai rischi connessi”.

La Corte di Cassazione, nel rigettare le doglianze formulate chiariva che il comportamento del lavoratore “può essere ritenuto abnorme - e dunque tale da interrompere il nesso di condizionamento - allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267 del 10-11-2009, Rv. 246695)”.
“E' dunque abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non é il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli (Cass., Sez. 4, n. 23292 del 28-4-2011, Rv.250710) o che abbia espletato un incombente che, anche se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell'ambito del ciclo produttivo (Cass., Sez. 4, n. 7985 del 10-10-2013, Rv. 259313)”.
Nel caso in esame, l'operazione che ha prodotto l'esplosione della bombola era stata effettuata dalla persona offesa che sapeva che era diventata obbligatoria la sostituzione del gas alogenato lesivo dello strato dello ozono con altro gas consentito dalla normativa e che ciò nonostante la centrale presso cui lavorava non si era adeguata avendo lui stesso più volte richiesto, senza esito, al datore di lavoro e al dirigente con delega le risorse economiche per provvedere a tale sostituzione.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “si deve anche considerare che il lavoratore era stato sollecitato dagli imputati per controllare che tutto fosse a posto, in quanto era stata preannunciata una visita di controllo da parte dei Carabinieri del Noe, in merito proprio allo smaltimento del Gas Naf S III. Per questa ragione si era recato, nell'ambito delle sue mansioni, alla Centrale e aveva proceduto a scollegare la bombola, allo scopo quanto meno di attenuare la responsabilità dei suoi dirigenti, ove i Carabinieri del Noe avessero trovato l'impianto non fosse funzionante”.

Alla luce di ciò la Corte di Cassazione ha affermato che “secondo la logica ricostruzione e la coerente valutazione dei giudici di merito il dipendente persona offesa aveva posto in essere una manovra rischiosa e impropria, che poteva essere eseguita solo da personale specializzato, ma comunque non abnorme in quanto non imprevedibile né inevitabile”.
Ed infatti “compito del titolare della posizione di garanzia é evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497), in quanto il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia é tenuto valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non é scriminata da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv.240161). Da ciò consegue che non può essere ravvisata, nel caso di specie, interruzione del nesso causale”.
Nel caso di specie, inoltre “il datore di lavoro e il delegato avevano omesso di eseguire la regolare manutenzione dell'impianto antincendio e di sostituire il gas vietato per legge non stanziando i fondi necessari per l'operazione e quindi ponendo in essere consapevolmente una scelta aziendale rischiosa di mantenere l'impianto a gas vietato”.
Al contrario “la persona offesa ha posto in esser l'unico comportamento che gli avrebbe consentito di sistemare le cose, in modo da ridurre il più possibile il raggio di illegittimità dell'azienda, pur senza averne la competenza, a tanto spinto dall'inequivocabile invito rivoltogli dal datore di lavoro, nulla obiettando il dirigente delegato cui l'email era rivolta per conoscenza”.
La corte di Cassazione prosegue chiarendo che quanto alla ravvisabilità della c.d. causalità della colpa in relazione all'addebito é “necessario accertare se la violazione delle regole cautelari riscontrate abbia o meno cagionato l'evento. L'intera struttura del reato colposo si fonda su questo specifico rapporto tra inosservanza della regola cautelare di condotta ed evento, che viene designato con l'espressione "causalità della colpa". Questo concetto, come é noto, si fonda normativamente sul dettato dell'art. 43 c.p., a tenore del quale é necessario che l'evento si verifichi "a causa" di negligenza, imprudenza, imperizia ovvero "per" inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La causa dell'evento é sempre la condotta materiale, la quale però, nei reati colposi, deve essere caratterizzata dalla violazione del dovere di diligenza.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha effettuato il giudizio controfattuale giungendo alla logica e argomentata conclusione che se gli imputati avessero, ciascuno nelle rispettive qualità, rispettato le prescrizioni di legge ed avessero mantenuto in regola l'impianto antincendio, autorizzando la spesa necessaria per la sostituzione del gas nocivo e la manutenzione o si fossero attivati direttamente mediante ditte specializzate per garantire misure idonee per prevenire gli incendi e tutelare l'incolumità dei lavoratori, l'evento lesivo non si sarebbe verificato perché all'arrivo dei Carabinieri del Noe non ci sarebbe stata alcuna necessità di provvedere con urgenza a porre rimedio in qualche modo alla situazione di illegittimità persistente da tempo di cui entrambi gli imputati nei rispettivi ruoli erano a conoscenza e che avevano consapevolmente avallato. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'osservanza delle norme cautelari violate”.

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